Il 1° maggio per quel che resta del Battaglione, in tradotta, inizia il ritorno in Italia.
Riporto quanto annotato nel diario il 6 maggio del ’43:
“Siamo nelle vicinanze di Radom. Il treno è fermo nella stazioncina. Sul binario di fianco a noi una tradotta sorvegliata da alcuni sergenti tedeschi armati di mitragliatore.
Siamo curiosi perché sentiamo uscire un gran puzzo dai vagoni.
Facce devastate di uomini, donne e bambini cercano di affacciarsi al finestrino.
Sentiamo bambini piangere. Chiedono pane e acqua. I tedeschi ci proibiscono di avvicinarci e di dargli acqua.
Sono Polacchi, vengono da Varsavia. Dove li portano non lo sanno. I Tedeschi non rispondono.
Noi gli diamo qualcosa da mangiare. Ma abbiamo quasi niente. Il Capitano mi dice di avvisare i Tedeschi che se non ci lasciano fare, noi spariamo.
Mandiamo a prendere acqua. Ci sono delle case a qualche 300 m dalla ferrovia.
Bevono avidamente, ringraziano. In qualche vagone litigano. Ah, ecco. Sono Ebrei e vengono deportati. Ce lo dice un vecchio. Sono chiusi lì da 6 giorni. Non possono uscire per andare al gabinetto. Sono una ottantina per vagone. Finestrini e porte sono chiusi da filo spinato. Le porte vengono aperte per far uscire i morti. Il mangiare (quasi niente) lo passano attraverso i finestrini. Sono 6 giorni che viaggiano. Caldo di giorno. Gelo di notte.
Ma è questa la civiltà europea che noi siamo andati a difendere in Russia?
Noi discutiamo molto su quello che abbiamo visto. Nei nostri reparti, a parte la litigata di Galijewka e certi episodi di Kantemirowka, non ci sono mai stati sentimenti antitedeschi. Abbiamo ammirato sempre la loro efficienza. Abbiamo chiuso un occhio di fronte a certe crudeltà commesse ai danni della popolazione.
Ma quello che abbiamo visto oggi è terribile.”
Il 25 maggio finalmente il rientro ad Alessandria. Per chi ce l’ha fatta un sospiro di sollievo, ma purtroppo non è ancora finita. Altri morti, altri feriti, altre indicibili sofferenze prima che la guerra finisca!